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Due chiacchiere su una panchina: intervista ad Andrea Pugliese

  • Quale squadra alleni, da quanti anni lavori con la Pallavolo Gonzaga, come e quando hai incontrato per la prima volta la pallavolo, se sei stato giocatore (così come nel caso tu non abbia mai giocato) come pensi influisca sul tuo ruolo di allenatore l’esperienza in campo.

Quest’anno nella Pallavolo Gonzaga alleno l’Under14 eccellenza femminile e una Under19 femminile composta da ragazze anche più giovani rispetto alla categoria. Ho iniziato il mio percorso da allenatore a 16 anni con la Pallavolo Gonzaga, dove sono ritornato 6 anni fa, dopo aver fatto esperienze in altre società.

Ancor prima ho iniziato a giocare e mi sono imbattuto in questo bellissimo sport. Ho “incontrato” per la prima volta la pallavolo a 7 anni in un oratorio con mio papà, il quale mi faceva fare dei passaggi da una parte all’altra della rete. Ho iniziato a 8 anni nell’oratorio San Crisostomo in via Cambini, di fianco a dove gioca oggi la nostra Serie B maschile; e non ho mai più smesso. All’età di 10 anni sono entrato al Gonzaga come giocatore e ho proseguito il mio percorso agonistico tra questa e altre società intorno a Milano.

Penso che i miei anni da giocatore mi abbiano accompagnato anche nel percorso di crescita come allenatore; alcuni aspetti, secondo il mio giudizio, è più faticoso trasmetterli o insegnarli se non li hai provati direttamente con mano. Non sostengo che tutti i giocatori possano allenare, né che coloro che non hanno mai praticato la pallavolo in prima persona non possano essere buoni coach: come in ogni cosa le parole d’ordine rimangono preparazione, passione e confronto.

  • Qual è il fondamentale più difficile da insegnare? Qual è quello più difficile da allenare?

Secondo me non c’è un fondamentale più difficile, è sicuramente correlato al gruppo squadra che ti trovi davanti e all’età che stai allenando. Ci sono ruoli più complessi, rispetto ad altri, ma ogni atleta ha la sua particolarità e il suo modo di affrontarla. Per rigirare la frittata ti direi che il fondamentale che mi piace più allenare è il bagher in tutte le sue situazioni.

  • Quali caratteristiche ricerchi in un giocatore/trice?

Questa è sicuramente una domanda provocatoria. Diciamo che sarebbe necessaria un’argomentazione dietro notevole, bisognerebbe fare una distinzione per ruolo, per capacità coordinative e tattiche. Ma in generale, visto che nella mia carriera nel femminile mi è successo poche volte, vorrei trovare delle atlete alte e con degli schemi motori già avanzati.

  • Qual è il tuo esercizio preferito? Pensi corrisponda al preferito delle tue atlete?

Non ho un esercizio preferito, poiché gli allenamenti li preparo io, sono tutti i miei esercizi preferiti. Gli esercizi che possono piacere alle mie atlete sono i momenti di fase play.

  • Come pensi ti veda qualcuno di esterno al mondo pallavolistico quando affermi di essere allenatore?

Farei una netta distinzione: ci son due scuole di pensiero, persone che hanno fatto sport che all’affermazione come lavoro faccio l’allenatore ti rispondono “che bello, fighissimo, ma dai ti occupa tanto tempo vero? la tua passione diventata lavoro, wow!” e persone che nella vita il loro massimo sforzo sportivo è stato lo zapping sul divano che mi dicono “ma perché, è un lavoro?” oppure “Okay, ma non ti ho chiesto l’hobby”.

  • Come pensi influisca sulla società il tuo lavoro? Potrebbe avere un impatto maggiore?

Spero bene, dopo tutti questi anni; la pallavolo Gonzaga mi ha fatto crescere e lo sta facendo tutt’ora. Ovviamente il mio lavoro spero abbia sempre di più degli anni un impatto maggiore. Ma credo che questo oltre che essere un obiettivo della Società nei miei confronti è anche un obiettivo mio personale, quello di dare e crescere sempre di più.

  • Qual è la tua ambizione sportiva più grande?

La mia ambizione sportiva più grande da giocatore era quella di arrivare in Nazionale ovviamente, ma proprio per pochissimo non sono riuscita a raggiungerla (almeno faccio audience).

Come allenatore, cercherò di replicare il sogno che avevo da ragazzino, quello di arrivare ad allenare la Nazionale; ammetto che mi piacerebbe un sacco quella Juniores.

In più, un altro mio sogno nel cassetto sarebbe quello di allenare la pallavolo in un’accademia di volley, un po’ come i college americani, dove come ore di motoria si hanno gli allenamenti di pallavolo, quindi tante ore in cui stare in palestra e preparare le atlete.

  • Ci racconteresti l’episodio o aneddoto più divertente ti sia capitato in palestra?

Due atlete che allenavo all’inizio della partita avevano un saluto speciale: dovevano battersi i pugni in modo particolare e poi fare un balzo una contro l’altra, petto contro petto. Soltanto che si sono sbilanciate entrambe e sono cadute di sedere. Questo bellissimo saluto mi è costato ed è costato alla squadra un cambio sullo 0-0 di queste due ragazze, che si dovevano riprendere dal dolore subito dalla caduta.

  • Scegli un oggetto presente in palestra durante le gare: in cinque parole, cosa direbbe di te?

P – avrei scritto Preparato ma se parlate con le mie atlete diranno sicuramente Palloso

A – Astuto

L – Lavoratore

L – Laconico

A – avrei detto Affiatato ma sicuramente se parlate con le mie atlete vi diranno Abnorme

  • Se fossi un cibo, nel momento in cui entri in palestra quale saresti? E se fossi un’emozione?

Se fossi un cibo nel momento in cui entro in palestra sarei sicuramente una caramella, elemento immancabile su tutte le panchine del Gonzaga, ma anche d’Italia. È un cibo essenziale per noi pallavolisti: a volte ci si scorda di tutto tranne che delle caramelle, sono la prima cosa che mi metto in borsa.

Se fossi un’emozione, sarei la felicità. Probabilmente si reputerà un’emozione banale, ma secondo me non è così scontato. Io provo estrema felicità nell’entrare in palestra, tanto da giocatore che da allenatore. In fondo ho fatto della mia passione un lavoro.

 

 

Ringrazio Andrea, che si è lanciato senza riserve su ogni risposta.

A presto

[ Intervista a cura di Giacomo De Martino ]