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Due chiacchiere su una panchina: intervista ad Anna Favini

“Se in gara la borsa medica potesse descrivermi in cinque parole, mi direbbe: Vorresti un ansiolitico, mia cara?”

  • Quale squadra alleni, da quanti anni lavori con la Pallavolo Gonzaga, come hai incontrato per la prima volta la pallavolo, se sei stata giocatrice come pensi influisca sul tuo ruolo di allenatrice l’esperienza in campo?

Alleno l’Under 15 maschile bianca, oltre una Under 13 3×3 composta da alcuni atleti dello stesso gruppo. Sono all’interno della Pallavolo Gonzaga da sei anni, ho iniziato con una Under 14 femminile PGS e dall’anno successivo sono passata a un gruppo maschile Under 12 FIPAV.

Da piccola vedevo alla televisione Mila e Shiro; ispirata da quello, a 13 anni mi sono iscritta a una squadra agonistica, ed è iniziato il rapporto con la pallavolo. Perciò sì, sono stata una giocatrice e lo sono tuttora: gioco nella Prima Divisione del Gonzaga, e continuerò finché il mio (anziano) corpo regge.

Mi condiziona positivamente essere stata giocatrice, perché aiuta a comprendere meglio sia dinamiche tecnico – tattiche, che di gruppo e relazionali. Permette di trovare soluzioni più semplicemente, avendole già cercate, viste e vissute stando in campo in prima persona.

  • Qual è il fondamentale più difficile da insegnare? Qual è quello più difficile da allenare?

Questa domanda mi mette in difficoltà. Il più difficile da insegnare sono certa sia l’alzata, ma da allenare è soggettivo: tutto è bene allenabile conoscendo esercizi, avendo accumulato esperienza e sviluppato così un occhio abituato a individuare la problematica, singola e di gruppo. Dunque, conta molto l’occhio dell’allenatore, la sua esperienza e sensibilità. Forse anche da giocatrice non facevo così attenzione all’osservazione dell’alzata, ma più all’uscita della palla che avrei dovuto attaccare.

Il più difficile da allenare potrebbe essere la difesa, perché si insegnano le tecniche ma non l’istinto, che è componente fondamentale e sul quale si ha meno margine di impatto.

  • Quali caratteristiche ricerchi in un giocatore?

Le caratteristiche che osservo in un giocatore sono quelle antropometriche, soprattutto in una pallavolo di alto livello, ma per integrare i miei gruppi guardo alle caratteristiche psicologiche comportamentali: la passione per ciò che fanno, la grinta che esprimono, la disposizione a mettersi al servizio della squadra. Il sacrificio di cui sono capaci, in sintesi. Lo sport è un impiego di tempo ed energie, fisiche e mentali, e quindi per sacrificio intendo anche rinunciare a uscire una volta con gli amici, o a un week-end fuori porta, per partecipare alla gara. Tutto funziona in nome della passione.

  • Qual è il tuo esercizio preferito? Pensi corrisponda al preferito dei tuoi atleti?

I miei atleti risponderebbero i suicidi o i burpees…I miei lavori preferiti sono quelli che stimolano la reattività e la mentalità di sfida della difesa, eseguiti ad alta velocità. Diverte me, ma soprattutto i ragazzi, che impiegano molta grinta davanti alle sfide. Forse è la mia tipologia preferita proprio per la reazione che gli atleti hanno davanti alla proposta.

  • Come pensi ti veda qualcuno di esterno al mondo pallavolistico quando affermi di essere allenatore?

Come mi vede il mondo esterno? Chi non vive calato nel mondo dello sport reputa che il nostro sia un passatempo più che un lavoro; spesso non ci si rende conto di cosa ci sia dietro ogni singolo allenamento, partita, stagione. Si tratta di molto tempo ed energie che si concentrano dietro questo ruolo. Anche i genitori dei ragazzi spesso non lo comprendono, per esempio comunicando a pochi minuti prima dell’allenamento l’assenza del figlio, perché non pensano ci siano dietro una preparazione, tra rotazioni, tempistiche, suddivisioni di ruoli, le possibili difficoltà nella programmazione giornaliera e settimanale se c’è un’assenza. Quando un bambino inizia a praticare sport, aiuta anche i più grandi a comprendere la serietà dietro il gioco.

Lo affronto anche per la mia carriera, perché vorrei entrare nelle scuole, e il lavoro nello sport è sempre visto come un mestiere di serie B. in Italia in particolare, con la disattenzione allo sport, molti ragazzi non ne fanno. È vero che ci sia un divertimento, io l’ho scelto anche per questo, ma ciò non lo rende meno lavoro, ufficiale, faticoso, immersivo, ragionato.

  • Come pensi influisca sulla società il tuo lavoro? Potrebbe avere un impatto maggiore?

Potrebbe avere un impatto maggiore, perché nella società italiana lo sport è inquadrato come hobby, non come base di una crescita e successivo invecchiamento sano. Fosse data un’importanza maggiore, non solo ci si renderebbe conto dei benefici fisici dell’attività sportiva, ma anche di quelli mentali dati dall’impatto sulle interferenze cognitive. Inoltre, la pallavolo può aiutare a costruire le basi per essere in grado di ritagliarsi il proprio ruolo nella società. Ovviamente l’attività fisica non è l’unico stimolo per una crescita sana, ma soprattutto lo sport di squadra è importante per fissarla, oltre che per fare propri alcuni valori. Partecipare a un gruppo significa entrare in una microsocietà, che presenta parallelismi con la società “dei grandi”, ad esempio dovendo affrontare problemi comuni.

  • Qual è la tua ambizione sportiva più grande?

Per ogni ambizione grande tendo a darmi piccoli obiettivi, ma preferisco tenerli riservati: sia perché è un ambito per me molto intimo, sia per una dose di scaramanzia. Posso dire che la volontà è proseguire a svolgere questo lavoro, con lo stesso entusiasmo e spirito con cui lo faccio ora, continuando soprattutto a divertirmi mentre lo faccio, perché la passione in cui ci si immerge mentre si è in palestra, dedicandosi completamente, è l’unico approccio sensato a questo genere di lavoro. Continuerò a cercare “cose”, a rubare “cose” a chi ha più esperienza, continuerò a pensare di non sapere abbastanza e proprio per questo a crescere anche io.

  • Ci racconteresti l’episodio o aneddoto più divertente ti sia capitato in palestra?

Non è una domanda così semplice: ciò che davvero rimane nella memoria sono soprattutto momenti difficilmente descrivibili, fatti di espressioni facciali, esclamazioni epiche improvvise, quotidianità più che eventi particolari. Allenando una maschile, potrei parlare di molti suoni e rumori animaleschi diffusi nelle varie fasi dell’allenamento, ma un momento molto alto è capitato durante un esercizio di ricezione: stavo battendo dal basso con grande energia, tirando insomma “a tutto braccio”; un genio dei miei atleti decide di passarmi davanti, prendendo una fucilata dritto in faccia. Forse è un po’ crudele, ma davvero spassoso. Un altro aneddoto è dell’anno scorso: stava andando tutto malissimo, fino all’ingresso in palestra di una squadretta femminile. A termine allenamento faccio un discorso motivazionale sull’impegno, sul mantenere l’attenzione più a lungo, elencando tutti i fattori per far funzionare l’allenamento; finché uno dei ragazzi, rigorosamente Under 12, esclama “ah sì, come il potere dell’amore!”.

  • Se fossi un cibo, nel momento in cui entri in palestra quale saresti? E se fossi un’emozione?

Rigiro la domanda: come penso mi vedano gli atleti. Non sono calma e morbida in palestra, ma un po’ dura e forse “piccantina”; dunque, direi che sono lo zenzero, che a me non piace e proprio per questo lo reputo difficile da buttare giù, ma esperti dicono dia molti benefici. Attraverso gli occhi degli altri, mi vedo come una radice di zenzero, impegnativa ma con un ottimo apporto per il benessere.

L’emozione che sento di essere è la sorpresa: quando entro in palestra trovo sempre qualcosa che mi sorprende. Che sia me stessa, che siano i collaboratori, che siano i ragazzi, tutti così diversi e tutti così in continua evoluzione che non si può mai scommettere su cosa faranno, diranno come si muoveranno o reagiranno, con assoluta certezza. Le altre emozioni sono sempre molto forti, tra la paura, la gioia, l’insicurezza: ma sono tutte variabili, dipendono magari da un momento della stagione. Ciò che alimenta costante il mio pensiero è senz’altro la sorpresa, e ad essa è legata la curiosità di scoprire l’imprevedibile, dietro una semplice porta di una palestra.

Ringrazio Anna per la cura, la personalità e la schiettezza delle risposte.

A presto

[ Intervista a cura di Giacomo De Martino ]